Sii più espressivo…forza! – che cos’è l’espressività

Sii più espressivo…forza! – che cos’è l’espressività

Quante volte ve lo siete sentiti dire? “Sii più espressivo, forza!”, oppure, “mostrami ciò che provi, racconta una storia con la tua danza!”.

Ciò che distingue la danza dalla ginnastica è il suo lato artistico, ovvero le modalità di espressività che usa. A me piace dividere l’espressività essenzialmente in due macro categorie.

DUE TIPOLOGIE DI ESPRESSIVITÀ

L’ESPRESSIVITÀ NARRATIVA

Il repertorio classico tradizionale (Lago dei cigni, Giselle, Onegin, Don Chisciotte, per citarne alcuni) usa una forma di espressività narrativa: i balletti si basano su una storia, la quale spesso attinge alla letteratura mentre le coreografie sono ricche di effetti scenografici, costumi vistosi e mimica. Gli spettatori, prima di andare a teatro, sono soliti leggere il libretto in modo da conoscere la trama anticipatamente e da poter cogliere tutti i passaggi durante lo spettacolo. Quando l’espressività si basa sulla narrazione di una storia, può sembrare più facile comunicare con il pubblico: i ballerini si attengono ad una trama esistente, raccontando una storia che il pubblico già conosce e basandosi su personaggi noti. La difficoltà sta piuttosto nell’immedesimarsi nel personaggio, cercando di comprenderlo e studiando a fondo ogni sfaccettatura per esprimerne il carattere.

Questa forma di espressività, che possiamo definire più “concreta” poiché basata su una trama esistente, è per certo il tipo di espressività più adatta ai bambini: spesso e volentieri, che sia in un saggio o per un esame, essi danzano avvalendosi di oggetti scenici e le loro coreografie rappresentano personaggi (bambola, postino, cuoco), animali e raccontano brevi storie. Questo aiuta i bambini a comprendere l’andamento della coreografia e, negli anni, a calarsi nella parte che devono interpretare.

L’ESPRESSIVITÀ ASTRATTA

Nella danza contemporanea così come nella danza classica di Balanchine, l’espressività è invece più astratta. Non si narra alcuna storia ma si usa il proprio corpo come fonte di espressione, bellezza e movimento. Questo tipo di espressività richiede perciò un livello di auto-consapevolezza fisica e mentale enorme.

Se nell’espressività narrativa ci possiamo avvalere di oggetti scenici e di una storia per raccontare ed esprimere la nostra danza, nell’espressività astratta nulla di tutto ciò è possibile. Possiamo fare affidamento solo ed esclusivamente sul nostro corpo. Ed è qui che entra in gioco la tecnica: chi padroneggia il proprio corpo, chi ha un’ottimo livello tecnico, sarà in grado di esprimersi attraverso esso. Chi non ha una buona tecnica, resta muto. Incapace di parlare.

Da qui l’importanza, per i ballerini di danza moderna e contemporanea, di avvalersi dello studio della danza classica.

La danza classica è per il contemporaneo quello che la grammatica è per la lingua italiana.

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Senza danza classica alla base, siete dei ballerini sgrammaticati, capaci di muovervi ma non di usare i verbi al congiuntivo o al condizionale. Siete essenzialmente semi-analfabeti. E quale peggior punizione, per un ballerino, essere analfabeta e non potersi esprimere! Quindi, fate i bravi e studiate danza classica.

Balanchine fu il primo ad innovare la danza classica in questo senso, ovvero spostando il focus da un’espressività narrativa ad una più astratta: per lui erano fondamentali i corpi, in particolare quelli femminili, concepiti come strumenti musicali e come protagonisti assoluti dei balletti. Le sue scenografiche tendono al minimalismo per lasciare che tutta l’attenzione si sposti sulle ballerine, sulle loro linee precise ed allungate, su movimenti velocissimi e dinamici. Balanchine, insomma, ha rivoluzionato il concetto di danza classica tenendo però sempre un occhio di riguardo verso le tradizioni del balletto. E per questo, gli saremo eternamente grati.

NO AGLI ECCESSI

Negli ultimi anni è andata sviluppandosi, soprattutto negli Stati Uniti, una forma di danza più ginnica, caratterizzata da ruote senza mani, capovolte, stretching al limite dell’improbabile, costumini striminziti e chignon mostruosi.

Chi di voi ha mai visto la serie TV “Dance moms” (in italiano: Mamme sull’orlo di una crisi di ballo) sa esattamente di cosa sto parlando.

Sarà pure soggettivo, sarà che non siamo tutti uguali, sarà che ogni cultura ha il proprio modo di vivere l’arte, in ogni caso, con tutto lo sforzo mentale che posso mettere, vi assicuro che questo tipo di “danza” proprio non la capisco. Sono così lontana da capirla che nemmeno la considero danza.

Per me la danza è in primis un’arte meravigliosa, caratterizzata da tradizioni senza tempo e da innovazioni costanti nel pieno rispetto di ciò che la storia ci ha tramandato.

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IL CASO “DANCE MOMS”

L’arte, la vita, tutto ciò che ci circonda è continuamente sottoposto a innovazione e cambiamento. E menomale! Però non si può nemmeno snaturare la sacralità della danza classica con delle lyrical routines che fanno accapponare la pelle; per non parlare del trucco pesante che nulla ha a che fare con la danza classica e che nemmeno una ballerina di Las Vegas mai indosserebbe.

Poi ci sono pure le contemporary routines. E qui arriva il peggio. Ora, io non so che concezione di “contemporary” abbiano alcune persone ma è certo che viaggiamo su due binari completamente opposti.

Sempre attingendo alla serie-tv “Dance moms”, vengono mostrate brevissime coreografie di 90 secondi durante le quali si ha la presunzione di narrare una storia per intero (tendenzialmente tragica, a quanto pare ridere non piace a nessuno). La storia in questione, tra l’altro, è spesso inadeguata all’età delle bambine che la interpretano (la giarrettiera a 10 anni no, vi prego!!) e piena zeppa di tricks (salti mortali, capriole in aria, tuffo doppio carpiato e chi più ne ha più ne metta) che insomma di danza non resta nulla. Diventa ginnastica allo stato puro con una storia narrativa alla base. Trucchi pesanti e inadeguati. Completini striminziti. Gusto per l’estetica zero. Più tricks ci sono e più la coreografia aumenta il suo punteggio.

Questa non è danza, amici. Questo è uno SCEMPIO.

E mi direte: “ma Alice, è una serie tv, è romanzata!”. Assolutamente sì, è molto romanzata (spero vivamente che in una scuola di danza non esista mai quel livello di isteria tra insegnanti e genitori). Dal punto di vista della danza, però, è reale. Anche in Italia, seppur in forma più contenuta, si fa strada questa nuova concezione ginnica della danza.

50% TECNICA, 50% ESPRESSIVITÀ

Non mi stancherò mai di dirlo anche a costo di rimanere l’unica sul pianeta terra a farlo e mi etichettassero per pazza scatenata da mandare in neuropsichiatria: la danza accademica è 50% tecnica e 50% espressività. L’espressività senza la tecnica non trova un valido mezzo per esprimersi, la tecnica senza espressività è ginnastica, mera esecuzione.

E, tornando a ciò che ho scritto sopra, per espressività non si intende “sorridere”. Si intende piuttosto muovere il proprio corpo in modo espressivo, conferendo sfumature, dinamiche e dettagli ad ogni passaggio, curando le piccolezze (che poi piccolezze non sono), ascoltando il proprio corpo in un religioso silenzio e aumentandone consapevolezza di giorno in giorno per mostrarla, poi, al pubblico; vuol dire danzare attraverso la musica e rendere il corpo uno strumento musicale, facente parte di quella melodia. L’espressività facciale è una conseguenza di tutto ciò e quindi alla volte possiamo sorridere (non necessariamente con la bocca, si sorride in primis con gli occhi), alle volte possiamo avere uno sguardo più “lirico”. Possiamo addirittura essere tristi o disperati, folli. Tutto ciò che il palco richiede noi possiamo farlo ma lo attuiamo innanzitutto con il corpo e poi, con il viso.

Il viso esprime ciò che il nostro cuore sente, ciò che il nostro corpo ha metabolizzato, ciò che la nostra mente ha focalizzato.

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Questa, per me, è espressività.

In foto:  Evgenia Obraztsova

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