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Pirouettes – nulla di più facile!

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Video iconici del XXI secolo

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Quando si indossano le scarpette da punta?

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Una delle domande più frequenti da parte delle mie allieve è: “quando metteremo le scarpette da punta?”.

Ed ogni volta, come se fosse la prima, io mi trovo spiazzata. Come si fa a rispondere a questa domanda? Ci sono troppe variabili da tenere in considerazione.

Andiamo ad analizzarle.

L’età

Non esiste un’età giusta per indossare le punte. Diciamo che prima degli 11-12 anni non si usano. Questo perché il vostro piede si starà ancora formando, sia a livello di crescita ossea che a livello tecnico, perciò forzarlo indossando delle scarpette di legno misto gesso, parrebbe affrettato.

Nelle accademie generalmente lo studio delle punte inizia prima poiché, anche se il piede non è ancora ben formato, il livello tecnico delle allieve consente loro di potersi approcciare allo studio delle punte già all’età di 8-9 anni. Con sequenze base, s’intende.

Infine, come dico sempre, siate critici e non fidatevi ciecamente del web, troverete di tutto! Girano sui social video di bambine che a 7 anni indossano le punte ed esegue 16 fouettés… mostruoso! (In senso negativo). Sconsiderati i suoi insegnanti e poverina lei! Ogni cosa a suo tempo. Lavorate con pazienza e determinazione ed anche il vostro momento arriverà.

Gli anni di studio

Da quanto tempo state studiando danza classica? E quante ora in settimana? Questo certamente influenza. Se siete dodicenni ma avete iniziato danza da un anno, scordatevi di mettere le punte! E con “anni di studio” si intendono gli anni trascorsi a studiare puramente danza classica. Perciò, se vi siete appena iscritte al corso o venite da 3 anni di danza moderna, mettevi l’animo in pace e tenetevi ai piedi le mezze punte ancora un po’.

La tecnica

Beh, certo, senza tecnica non si va da nessuna parte. Stiamo parlando di: relevé alto, caviglie flessibili e allo stesso tempo forti, core (addominali e bacino) “de coccio” e gambe scolpite. Ruolo importante giocano i polpacci ed i piedi arcuati. Non abbattetevi se non siete nate con il collo del piede stile Svetlana Zakharova, con la giusta determinazione e costanza potrete comunque migliorare moltissimo!

La preparazione alle punte necessita anni di studio quindi non siate frettolose e lavorate con precisione. Tutte le debolezze che avevate in mezza punta si moltiplicheranno una volta indossate le punte! Per questo motivo è necessario arrivare preparati e con una tecnica solida.

La testa

Ovvero l’intelligenza nell’affrontare le correzioni, la determinazione nel voler riuscire, la disciplina negli allenamenti, l’ascolto attento dei vostri insegnanti e delle loro preziose indicazioni, la perseveranza.

Insomma, tutte caratteristiche utilissime non solo nella preparazione alle punte ma nella danza in generale. E nella vita.

Come sapere se la propria tecnica è adeguata per indossare le punte?

Ecco qualche esercizio che potete fare come “test” per valutare se siete pronte:

  • sedetevi sul pavimento con le gambe dritte davanti a voi in 6° posizione: le dita dei vostri piedi, stendendosi, devono andare il più possibile verso il pavimento. E perché no, toccarlo!
  • equilibri sulla mezza punta: posizionatevi in relevé, sia in centro che alla sbarra, l’equilibrio deve essere perfetto!
  • equilibri in retirés (o passés): preparatevi alla sbarra e poi rimanete in equilibrio per 5 secondi
  • posizionatevi in centro in 6° posizione, sollevate una gamba in posizione di retiré en dedans e rimanete in equilibrio per 1 minuto con gli occhi chiusi

Curiosità

Gli uomini usano le punte?

Tendenzialmente no. Fatta eccezione per alcuni ruoli en travesti, ovvero quando l’uomo ricopre un ruolo femminile, come ad esempio le sorellastre in alcune versioni di Cenerentola o la compagnia Les Ballets Trockadero di Monte Carlo.

Esistono le punte colorate?

Sì! Vengono usate talvolta per esigenze coreografiche.

Siete super emozionate per aver ricevuto il vostro primo paio di punte e volete usarle anche a casa. Potete farlo?

No.

Non per smontare l’entusiasmo, anzi! Il problema è che un principiante sa appena come si allacciano le punte, figuriamoci come salirci! Meglio farlo in presenza della vostra insegnante e su una pavimentazione adatta.

Tornando al dilemma iniziale, “quando si mettono allora le scarpette da punta?”.

Per me c’è solo una risposta valida, ovvero: quando sarete pronte!

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Probabilmente se state leggendo questo blog siete degli amanti della danza classica.

Chiaro, lo sono pure io.

Ma diciamocelo, c’è altro al mondo. La danza è vasta: ricca di sfumature, stili, caratteri e fisici. Ed ognuno di noi può trovare se stesso in uno di questi mille pianeti che compongono l’universo chiamato danza.

Oggi non vi parlerò perciò di danza classica e nemmeno di hip hop, danza contemporanea, tip tap o ballo da sala. Vi racconterò invece di alcuni tipi di danze “impopolari”: ho deciso di chiamarle così perché, seppur famose a livello cinematografico, non se ne parla molto. Sono state in parte censurate dai siti di danza che tendenzialmente non danno luce a questi argomenti. A me piace però ricordare che la danza è un’arte e in quanto tale i suoi confini strabordano anche nel cinema, nella scultura, nella pittura, nel canto, nella recitazione. Ci sono mille modi di fare arte e un ballerino completo non si ferma alla danza ma cerca l’ispirazione in ogni forma di arte esistente sulla terra. Solo così il ballerino diviene artista. Bisogna amare il bello, ricercare ostinatamente il gusto per l’estetica, scoprire nuove forme di arte e di espressione.

Ed oggi, per queste nuove forme di arte voglio attingere dal mondo del cinema, da quelle coreografie che sento il dovere non vadano dimenticate. Come accennato sopra, si tratta di danze “impopolari”, vuoi per i temi che trattano, vuoi per il loro gusto estetico.

C’è però una regola fondamentale quando si parla di arte, e quindi anche di danza. La censura non è contemplata.

A me piace che la danza sia democratica.

A Ballet Blog

Lasciamo che ognuno si esprima come meglio vuole -nel rispetto della decenza, questo sì- che dica ciò che ha dire. Anche se c’è stupore e imbarazzo. Il mondo è bello perché vario!

Eccoli quindi, GLI INCENSURABILI.

via GIPHY

Pulp Fiction – You never can tell

Correva l’anno 1994 quando l’indomabile Quentin Tarantino partorì questo gioiello del cinema. Un film grottesco, ricco di azione, caratterizzato da una narrativa slegata e da dialoghi surreali. Ed io a questo punto non posso fare altro che proporvi una delle scene più iconiche: sulle note di “You never can tell” del grande Chuck Berry, signore e signori, ecco a voi gli unici ed inimitabili Uma Thurman e John Travolta.

The Rocky Horror Picture ShowTime Warp

Datato 1975 e diretto da Jim Sharman. Penso che non ci sia americano che non conosca questo musical. In Europa purtroppo ce lo siamo lasciati sfuggire. Io vi propongo il “time warm”, una delle coreografie più conosciute.

Il film? Malato, folle, eccentrico. Sconsiderato. Solo per cuori forti e animi impazziti.

Mamma mia – Does your mother know?

Lo so, lo so. Questo non è così incensurabile. Almeno finché non capite il testo della canzone! E poi scusatemi ma Tanya (Christine Baranski) è veramente troppo, troppo brava nel ruolo di donna di mezza età ricca, rifatta e con gli ormoni impazziti. Anno di uscita 2008, diretto da Phyllida Lloyd.

The Blues Brothers – Shake a Tail Feather

Un musical che raccoglie al suo interno alcuni tra i musicisti e cantanti più famosi al mondo: James BrownRay Charles, Aretha Franklin e Tom Malone per citarne alcuni. In questo video vi propongo i due protagonisti, Jake e Elwood Blues (aka John Belushi and Dan Aykroyd), accompagnati da uno spettacolare corpo di ballo. La coreografia è frizzante, divertente, unica! Siamo nel 1980, regia John Landis.

Non mi sono soffermata sulle trame dei film, un po’ perché non voglio anticiparvi nulla, un po’ perché l’articolo sarebbe stato davvero troppo lungo. Spero comunque che la presentazione di questi pezzi musicali invogli la visione dei film per intero! Attenzione solo all’età minima: Pulp Fiction e The Rocky Horror Picture Show sono adatti ai maggiori di 16.

Ps. Dedico questo articolo alla mia grande amica L. E’ grazie a lei se so chi è Quentin Tarantino e se ballo sfrenata sulle note degli Abba e dei Blues Brothers.

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Lettera alla danza di Nureyev e rumorose riflessioni

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Lettera alla danza di Nureyev, tratta dal romanzo La sua danza di Colum McCann

“Era l’odore della mia pelle che cambiava, era prepararsi prima della lezione, era fuggire da scuola e dopo aver lavorato nei campi con mio padre perché eravamo dieci fratelli, fare quei due chilometri a piedi per raggiungere la scuola di danza.

Non avrei mai fatto il ballerino, non potevo permettermi questo sogno, ma ero lì, con le mie scarpe consumate ai piedi, con il mio corpo che si apriva alla musica, con il respiro che mi rendeva sopra le nuvole. Era il senso che davo al mio essere, era stare lì e rendere i miei muscoli parole e poesia, era il vento tra le mie braccia, erano gli altri ragazzi come me che erano lì e forse non avrebbero fatto i ballerini, ma ci scambiavamo il sudore, i silenzi, a fatica. Per tredici anni ho studiato e lavorato, niente audizioni, niente, perché servivano le mie braccia per lavorare nei campi. Ma a me non interessava: io imparavo a danzare e danzavo perché mi era impossibile non farlo, mi era impossibile pensare di essere altrove, di non sentire la terra che si trasformava sotto le mie piante dei piedi, impossibile non perdermi nella musica, impossibile non usare i miei occhi per guardare allo specchio, per provare passi nuovi. Ogni giorno mi alzavo con il pensiero del momento in cui avrei messo i piedi dentro le scarpette e facevo tutto pregustando quel momento. E quando ero lì, con l’odore di canfora, legno, calzamaglie, ero un’aquila sul tetto del mondo, ero il poeta tra i poeti, ero ovunque ed ero ogni cosa. Ricordo una ballerina Elèna Vadislowa, famiglia ricca, ben curata, bellissima. Desiderava ballare quanto me, ma più tardi capii che non era così. Lei ballava per tutte le audizioni, per lo spettacolo di fine corso, per gli insegnanti che la guardavano, per rendere omaggio alla sua bellezza. Si preparò due anni per il concorso Djenko. Le aspettative erano tutte su di lei. Due anni in cui sacrificò parte della sua vita. Non vinse il concorso. Smise di ballare, per sempre. Non resse la sconfitta. Era questa la differenza tra me e lei. Io danzavo perché era il mio credo, il mio bisogno, le mie parole che non dicevo, la mia fatica, la mia povertà, il mio pianto. Io ballavo perché solo lì il mio essere abbatteva i limiti della mia condizione sociale, della mia timidezza, della mia vergogna. Io ballavo ed ero con l’universo tra le mani, e mentre ero a scuola, studiavo, aravo i campi alle sei del mattino, la mia mente sopportava perché era ubriaca del mio corpo che catturava l’aria.

Ero povero, e sfilavano davanti a me ragazzi che si esibivano per concorsi, avevano abiti nuovi, facevano viaggi. Non ne soffrivo, la mia sofferenza sarebbe stata impedirmi di entrare nella sala e sentire il mio sudore uscire dai pori del viso. La mia sofferenza sarebbe stata non esserci, non essere lì, circondato da quella poesia che solo la sublimazione dell’arte può dare. Ero pittore, poeta, scultore. Il primo ballerino dello spettacolo di fine anno si fece male. Ero l’unico a sapere ogni mossa perché succhiavo, in silenzio ogni passo. Mi fecero indossare i suoi vestiti, nuovi, brillanti e mi dettero dopo tredici anni, la responsabilità di dimostrare. Nulla fu diverso in quegli attimi che danzai sul palco, ero come nella sala con i miei vestiti smessi. Ero e mi esibivo, ma era danzare che a me importava. Gli applausi mi raggiunsero lontani. Dietro le quinte, l’unica cosa che volevo era togliermi quella calzamaglia scomodissima, ma mi raggiunsero i complimenti di tutti e dovetti aspettare. Il mio sonno non fu diverso da quello delle altre notti. Avevo danzato e chi mi stava guardando era solo una nube lontana all’orizzonte. Da quel momento la mia vita cambiò, ma non la mia passione ed il mio bisogno di danzare. Continuavo ad aiutare mio padre nei campi anche se il mio nome era sulla bocca di tutti. Divenni uno degli astri più luminosi della danza.

Ora so che dovrò morire, perché questa malattia non perdona, ed il mio corpo è intrappolato su una carrozzina, il sangue non circola, perdo di peso. Ma l’unica cosa che mi accompagna è la mia danza la mia libertà di essere. Sono qui, ma io danzo con la mente, volo oltre le mie parole ed il mio dolore. Io danzo il mio essere con la ricchezza che so di avere e che mi seguirà ovunque: quella di aver dato a me stesso la possibilità di esistere al di sopra della fatica e di aver imparato che se si prova stanchezza e fatica ballando,

e se ci si siede per lo sforzo, se compatiamo i nostri piedi sanguinanti, se rincorriamo solo la meta e non comprendiamo il pieno ed unico piacere di muoverci, non comprendiamo la profonda essenza della vita, dove il significato è nel suo divenire e non nell’apparire. Ogni uomo dovrebbe danzare, per tutta la vita. Non essere ballerino, ma danzare.

Chi non conoscerà mai il piacere di entrare in una sala con delle sbarre di legno e degli specchi, chi smette perché non ottiene risultati, chi ha sempre bisogno di stimoli per amare o vivere, non è entrato nella profondità della vita, ed abbandonerà ogni qualvolta la vita non gli regalerà ciò che lui desidera. È la legge dell’amore: si ama perché si sente il bisogno di farlo, non per ottenere qualcosa od essere ricambiati, altrimenti si è destinati all’infelicità. Io sto morendo, e ringrazio Dio per avermi dato un corpo per danzare cosicché io non sprecassi neanche un attimo del meraviglioso dono della vita. “

RUDOLF NUREYEV

Da brividi, lo so. Ora però vi darò un dispiacere. Questa famosissima lettera alla danza non è stata scritta da Nureyev in persona bensì dallo scrittore Colum McCann, il quale dedica al ballerino un intero romanzo autobiografico. Se all’inizio questa informazione può destare scalpore, pensandoci bene, conferisce ancora più riguardo nei confronti dello scrittore. Colum McCann ha infatti saputo tradurre in parole ciò che Nureyev ha trasmesso per tutta la sua vita danzando: la necessità. Danzare non era semplicemente un passione ma era il suo respiro e il suo credo. Non lo conosciamo di persona, è vero, però la sua danza trasmette tutt’ora ciò che abbiamo bisogno di sapere di lui. Insomma, Nureyev non avrà forse scritto questa lettera ma sono certa che se fosse in vita, ne andrebbe tremendamente fiero.

Se vuoi scoprire altre personalità maschili che come Nureyev hanno influenzato ampiamente il mondo della danza classica, dai un’occhiata qui.

Riflessioni

La lettera alla danza di Nureyev racchiude molti concetti profondi e uno mi sta a cuore più di tutti: il fatto di allenarsi e lavorare per la gioia di danzare, per necessità, e non necessariamente con un fine ultimo. Questo nulla toglie a concorsi, audizione e spettacoli, anzi. Ma i risultati richiedono tempo e allenamento. C’è bisogno di grande perseveranza, determinazione ed intelligenza. L’importanza del momento di studio in sala non può quindi passare in secondo piano. Non si può pretendere pretendere di esibirsi continuamente, quando ancora si è novellini. Dovremmo essere grati di imparare, sudare e assorbire voracemente gli insegnamenti che ci vengono trasmessi, allenandoci con disciplinata perseveranza.

La motivazione non è l’obiettivo, bensì il percorso. Lo studi quotidiano. Gli esercizi alla sbarra. Gli esercizi al centro. L’adagio. L’allegro. Le pirouettes.

Lo scopo è la danza. Lo scopo dev’essere la danza. Curare quotidianamente il proprio corpo, volersi bene, migliorare le linee rendendole plastiche ed espressive, pulire la tecnica, passo dopo passo, con la precisione di un attento chirurgo.

Viviamo in un mondo di apparenze dove spesso viene data importanza alla forma piuttosto che alla sostanza e tutto ciò tende ad essere portato all’estremizzazione dai social. Siate critici, anzi ipercritici: non paragonatevi ad una foto o ad un video, non si può mai sapere cosa c’è dietro. Date peso al parere di chi per voi conta davvero e non alle flebili apparenze della tecnologia. E’ un mondo di esagerazioni, quello in cui ci troviamo, di “tutto e subito”, di “non ci fermiamo mai. Nemmeno in allarme mondiale da covid-19”.

E se invece ci fermassimo davvero per un istante? Non sarebbe bello, per una volta, rimanere fermi e in silenzio? Vi posso assicurare, che il mondo girerà lo stesso. Ma forse, nel silenzio delle nostre case, avremmo finalmente la forza e l’occasione di ascoltare i pensieri. Perché questi hanno un suono, rumoroso e devastante. Alcune volte rimbombano. Altre volte sussurrano. In ogni caso sono lì, forti della loro autorevolezza.

Ascoltatevi, ascoltateli.

E poi buttateli fuori, danzando. Ballate per voi stessi. Così, chiusi in stanza. Improvvisate. Lasciate che sia la musica a trascinarvi. Ovunque vi trascini, vedrete che sarà bellissimo.

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